Don Pino Puglisi, l’attualità del suo impegno 29 anni dopo

“Le porte delle Chiese siano chiuse ai mafiosi”

Comprendiamo che la Chiesa resta casa del perdono e dell’accoglienza, ma non possiamo non ricordare oggi Don Pino Puglisi senza quel monito gridato da Papa Giovanni Paolo II ad Agrigento nel 1993, quando si rivolse ai mafiosi ammonendoli sulla certa condanna divina.

Quel “convertitevi” detto da Papa Giovanni Paolo II ai mafiosi oggi resta attuale, dinanzi ad una mafia che come ha in questi giorni ha detto il Vescovo di Monreale, mons. Pennini, è tornata a frequentare le Chiese senza un vero pentimento, anzi. Lì nelle Chiese ai mafiosi viene facile incrociare i bisogni della gente per offrire aiuto…in cambio sempre di qualcosa, anche mettere in mano ad un giovane dosi da spacciare, o anche un’arma, perché la mafia sommersa e la mafia che non spara non è cosa che possa durare ancora a lungo. E’ vero che la Chiesa di oggi, e quella siciliana in particolare, è l’opposto di quella che era la Chiesa dei tempi di don Pino Puglisi, ma ci sono ancora sacerdoti che intendono il loro ministero così come piace ai mafiosi. Anzi sono sacerdoti che si sono ammodernati, che usano i social, dove distribuiscono le loro prediche spesso in senso diverso rispetto magari ai messaggi dell’antimafia sociale, che hanno da ridire sulle confische dei beni e anche sulle indagini giudiziarie. Sacerdoti che non usano il sorriso come faceva don Pino Puglisi, perché sanno bene che alla mafia i sorrisi non piacciono. In questa nostra Sicilia purtroppo resistono ancora oggi delle sacche dove non si combattono la cultura mafiosa e gli interessi corrotti, dove l’onesto si ritrova imbrigliato nelle maglie soffocanti della mafia. La mafia non si sconfiggerà fino a quando non si vincerà la battaglia nelle periferie delle grandi città o nelle periferie delle Regioni, è qui  che serve la voce forte della Chiesa, di quella chiesa che rifiuta u mafiosi alle processioni, della Chiesa che diffida da certe congregazioni o confraternite che le girano intorno, quella Chiesa che non fa passare i simulacri in processione sotto il balcone del boss del paese.

La sera del 15 settembre 1993, Don Pino compiva cinquantasei anni. Nato a Palermo, nel quartiere Brancaccio, poco prima di essere ucciso con un colpo di pistola alla nuca mentre tornava a casa, sorrise al suo killer, dopo aver detto me l’aspettavo. A gennaio 1993 aveva inaugurato il centro “Padre Nostro”, diventato punto di riferimento per i giovani e le famiglie del quartiere. Il sacerdote dava fastidio con il suo apostolato, l’azione contro i trafficanti di droga e le omelie di condanna a Cosa Nostra. Don Pino Puglisi era divenuto il volto del cambiamento all’interno della città di Palermo nel quartiere di Brancaccio uno dei quartieri più colpiti dalla povertà e dall’ignoranza. In seguito al suo assassinio, venne riconosciuto tutto il suo impegno messo per la comunità di Brancaccio e di Palermo, e Il 15 settembre 1999 l’allora arcivescovo del capoluogo siciliano, il cardinale Salvatore De Giorgi, aprì ufficialmente la causa di beatificazione proclamandolo Servo di Dio. Il 23 Maggio del 2013 don Pino Puglisi venne proclamato beato. A 29 anni dal vile omicidio, la Palermo degli onesti ricorda il sacrificio di un uomo volenteroso che ha dedicato la sua vita ad insegnare e accogliere i ragazzi abbandonati culturalmente che divenivano facili prede delle cosche mafiose. Don Pino Puglisi conosceva bene i luoghi dove era cresciuto ed era consapevole dei problemi che affliggevano il suo quartiere, quello in cui egli predicava, e decise allora di rappresentare attraverso l’autorità della chiesa e dunque della religione, la bontà, l’autenticità e il cambiamento, per poter insegnare ai ragazzi abbandonati che si può sempre cambiare vita. Il suo primo insegnamento era proprio basato sulla concezione che esiste sempre una strada alternativa che consente una vita normale e serena, una alternativa prevalentemente sconosciuta dai ragazzi stessi. Nel 1991 durante una intervista di una emittente locale palermitana (Canale 46), don Pino Puglisi pronunciò parole di conforto e di speranza: “Ho visto bambini poveri, bambini lasciati così in mezzo a una strada dove diventano preda di persone senza scrupoli che poi li avviano alla violenza, alla devianza e quindi in quella zona così come in altre zone ci sono scippi, furti commessi da ragazzini magari che sono inconsapevoli di quello che fanno. Questi bambini avrebbero bisogno di un recupero etico, morale e cioè che riescano a capire quali sono i valori fondamentali della vita perché viviamo, perché siamo in questa società che cosa ci stiamo a fare…”

Don Pino ci ha indicato una via da seguire fatta di sorrisi, cultura della legalità, normalità e caparbietà, aspetti che fanno tanta paura a coloro che vorrebbero arricchirsi sulla pelle della gente normale, impoverendola sempre di più e quindi rendendola più corruttibile e controllabile. Padre Pino Puglisi è, non era, l’esempio di come la Chiesa, e non solo quella della sua Brancaccio, seguendo i propri principi, può essere attore principale nell’affermazione della giustizia sociale e di una cultura non a appannaggio di pochi. L’unico modo per ricordarlo è mettersi in moto, ognuno secondo le proprie possibilità, nel contrastare una mafia che cambia pelle e volti, ma resta una grave piaga che infetta il convivere civile e la giustizia, spingendo ancor di più ai margini coloro che un domani possano diventare manovalanza o comunque utili al suo scopo o cercando di emarginare chi opera ogni giorno nel combatterla. Il modo migliore per ricordare il suo sacrificio è agire, nel solco del suo modo di fare, un misto di gentilezza e decisione.

XXX Anniversario della strage di Capaci e via D’Amelio

In un caldo sabato di maggio, un’esplosione squarcia l’autostrada che collega l’aeroporto di Punta Raisi a Palermo, nei pressi dell’uscita per Capaci: 5 quintali di tritolo distruggono cento metri di asfalto e fanno letteralmente volare le auto blindate. Muore Giovanni Falcone, magistrato simbolo della lotta antimafia. È il 23 maggio 1992. Oltre al giudice, morirono altre quattro persone: la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Vi furono 23 feriti, fra i quali gli agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e l’autista giudiziario Giuseppe Costanza.

19 luglio, 57 giorni dopo. Il magistrato Paolo Borsellino, impegnato con Falcone nella lotta alle cosche, va a trovare la madre in via Mariano D’Amelio, a Palermo. Alle 16:58 un’altra tremenda esplosione: questa volta in piena città. La scena che si presenta ai soccorritori è devastante. cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta e anche prima donna della Polizia di Stato a cadere in servizio[1]), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L’unico sopravvissuto fu l’agente Antonino Vullo, che al momento dell’esplosione stava parcheggiando una delle auto della scorta. Negli anni nuovi colpi di scena hanno aperto squarci di luce su queste vicende su cui però non c’è ancora completa chiarezza.

Sono passati 30 anni, e il tempo gioca sempre contro la memoria e la verità, come voleva chi fece ammazzare Falcone e poi Borsellino, il secondo colpevole di aver legato il suo destino alla verità sulla strage di Capaci. Verità che aveva in mano, scottante, devastante. Riteniamo che sia un dovere ricordare Falcone e Borsellino, due magistrati assai diversi tra loro, ma con una intesa straordinaria favorita dalla fede comune nella legalità. Si misero di traverso a chi voleva uno Stato-mafia, dove la presenza del potere criminale stragista doveva essere dominante.
Riteniamo sia un dovere ripercorrere il senso di quel sacrificio e aiutare i più giovani a riscoprire la grandezza di due figure come Paolo Borsellino e Giovanni Falcone e un coraggio che ha fatto sì che la loro scomparsa non fosse vana.
Riteniamo che manifestare, agire, raccontare sono momenti essenziali nei quali, oltre a ricordare, si pone la necessità di rivedere e riesaminare la storia Contro coloro che alimentarono i silenzi, ritardi, depistaggi per denunciare le discrasie di alcuni apparati dello Stato.

Adesso non serve scrivere fiumi di parole su ciò che essi hanno fatto, rappresentato ed inciso nella storia contemporanea d’Italia, ma bastano poche righe per levare alto un sentimento di rispetto verso il ricordo di Falcone e Borsellino e gli uomini delle loro scorte e per chiedere con tutte le forze, che si ponga fine ai balletti sulle responsabilità e sugli esecutori, affinchè sia fatta piena luce sui veri mandanti di quelle stragi e su tutti coloro, che ancora nascondono la verità sullo stragismo e sulla strategia della tensione iniziata alla fine degli anni ’60 e mai, forse, terminata, consentendosi così di avviare un reale processo di liberazione dalle maglie dell’oppressione mafiosa. La mafia è un sistema e come tale ha saputo rafforzarsi, insinuandosi non solo nei rapporti economici e politici, ma persino nei rapporti etico-culturali e nell’agire quotidiano del singolo e dei gruppi.
La mafia non è stata mai sconfitta e pertanto la battaglia deve continuare senza sosta, a qualunque livello della società e dei suoi organismi.. E’ un’operazione ardua, ma necessaria per riaffermare il Diritto, l’Equità, la Tolleranza, l’Uguaglianza del cittadino nel rapporto paritario con lo Stato, al quale egli deve potere dare una forma attuale e funzionale, senza essere travolto dal “sistema”.

Cerimonia di Premiazione XXIV Edizione

Pescara – 26 ottobre – Teatro Massimo
Alcuni momenti della Cerimonia di Premiazione della XXIV Edizione del Premio Nazionale Paolo Borsellino nelle foto di Cristian Palmieri

Cerimonia di Premiazione della XXIV Edizione del Premio Nazionale Paolo Borsellino

Pescara – 26 ottobre – Teatro Massimo
Tantissime le Personalità presenti alla Cerimonia di Premiazione della XXIV Edizione del Premio Nazionale Paolo Borsellino

Foto di Cristian Palmieri

 

Niente regali alle mafie, beni confiscati

Martedì 15 Ottobre – ore 10
Roma – Auditorium WE GIL Regione Lazio
Niente regali alle mafie – beni confiscati
Intervengono
Luigi Savina – Prefetto, Presidente della XXIV Edizione del Premio Nazionale Paolo Borsellino
Giovanna Boda – Direttore Generale MIUR
Federico Cafiero De Raho – Procuratore Direzione Nazionale Antimafia
Giuseppe De Cristofaro – Sottosegretario Miur
Giampiero Cioffredi – Presidente Osservatorio LegalItà Regione Lazio