XXX Anniversario della strage di Capaci e via D’Amelio

In un caldo sabato di maggio, un’esplosione squarcia l’autostrada che collega l’aeroporto di Punta Raisi a Palermo, nei pressi dell’uscita per Capaci: 5 quintali di tritolo distruggono cento metri di asfalto e fanno letteralmente volare le auto blindate. Muore Giovanni Falcone, magistrato simbolo della lotta antimafia. È il 23 maggio 1992. Oltre al giudice, morirono altre quattro persone: la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Vi furono 23 feriti, fra i quali gli agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e l’autista giudiziario Giuseppe Costanza.

19 luglio, 57 giorni dopo. Il magistrato Paolo Borsellino, impegnato con Falcone nella lotta alle cosche, va a trovare la madre in via Mariano D’Amelio, a Palermo. Alle 16:58 un’altra tremenda esplosione: questa volta in piena città. La scena che si presenta ai soccorritori è devastante. cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta e anche prima donna della Polizia di Stato a cadere in servizio[1]), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L’unico sopravvissuto fu l’agente Antonino Vullo, che al momento dell’esplosione stava parcheggiando una delle auto della scorta. Negli anni nuovi colpi di scena hanno aperto squarci di luce su queste vicende su cui però non c’è ancora completa chiarezza.

Sono passati 30 anni, e il tempo gioca sempre contro la memoria e la verità, come voleva chi fece ammazzare Falcone e poi Borsellino, il secondo colpevole di aver legato il suo destino alla verità sulla strage di Capaci. Verità che aveva in mano, scottante, devastante. Riteniamo che sia un dovere ricordare Falcone e Borsellino, due magistrati assai diversi tra loro, ma con una intesa straordinaria favorita dalla fede comune nella legalità. Si misero di traverso a chi voleva uno Stato-mafia, dove la presenza del potere criminale stragista doveva essere dominante.
Riteniamo sia un dovere ripercorrere il senso di quel sacrificio e aiutare i più giovani a riscoprire la grandezza di due figure come Paolo Borsellino e Giovanni Falcone e un coraggio che ha fatto sì che la loro scomparsa non fosse vana.
Riteniamo che manifestare, agire, raccontare sono momenti essenziali nei quali, oltre a ricordare, si pone la necessità di rivedere e riesaminare la storia Contro coloro che alimentarono i silenzi, ritardi, depistaggi per denunciare le discrasie di alcuni apparati dello Stato.

Adesso non serve scrivere fiumi di parole su ciò che essi hanno fatto, rappresentato ed inciso nella storia contemporanea d’Italia, ma bastano poche righe per levare alto un sentimento di rispetto verso il ricordo di Falcone e Borsellino e gli uomini delle loro scorte e per chiedere con tutte le forze, che si ponga fine ai balletti sulle responsabilità e sugli esecutori, affinchè sia fatta piena luce sui veri mandanti di quelle stragi e su tutti coloro, che ancora nascondono la verità sullo stragismo e sulla strategia della tensione iniziata alla fine degli anni ’60 e mai, forse, terminata, consentendosi così di avviare un reale processo di liberazione dalle maglie dell’oppressione mafiosa. La mafia è un sistema e come tale ha saputo rafforzarsi, insinuandosi non solo nei rapporti economici e politici, ma persino nei rapporti etico-culturali e nell’agire quotidiano del singolo e dei gruppi.
La mafia non è stata mai sconfitta e pertanto la battaglia deve continuare senza sosta, a qualunque livello della società e dei suoi organismi.. E’ un’operazione ardua, ma necessaria per riaffermare il Diritto, l’Equità, la Tolleranza, l’Uguaglianza del cittadino nel rapporto paritario con lo Stato, al quale egli deve potere dare una forma attuale e funzionale, senza essere travolto dal “sistema”.